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Il personaggio

Luca Pallaver, Ma. F. Argentario (B2 femminile)

Scaldate bene i muscoli, si parte. Come per dove? Per un nuovo avvincente, entusiasmante, fantasmagorico… va bene, va bene, la smetto. Per un nuovo appuntamento con il “Personaggio” che questa settimana ha deciso di focalizzare la propria attenzione su una figura del mondo della pallavolo nostrana che ancora non eravamo andati a disturbare. Dopo una grande idea del mitico webmaster di questo sito andiamo a rompere le scatole ai preparatori fisici. Ovvero, dagli specialisti che seguono i muscoli degli sportivi, che fanno stare bene gli sportivi, che permettono loro di giocare al top della condizione. Figura tenuta troppo spesso in secondo piano, quella del preparatore fisico ormai è un ruolo ormai diventato importante. E allora di questo ruolo parliamo con Luca Pallaver, preparatore fisico trentino che vanta esperienze in serie A ed all’estero. Con lui andiamo a scaldarci un po’ i muscoli. Buona lettura!

Come stai?
“Bene, tutto bene grazie”.
Dove sei impegnato adesso? Solo con l’Argentario femminile di B2?
“Con l’Argentario ho seguito a inizio stagione la loro preparazione fisica e poi il richiamo a cavallo di Natale. Adesso sono impegnato anche con una serie di atleti. Sono passato dal lavoro con le squadre al lavoro con atleti singoli, ne seguo diversi in Italia e all’estero, con giocatori che lavorano in squadra con il loro preparatore ma essendosi trovati bene con il mio metodo di lavoro allora mi chiedono di seguirli singolarmente. Faccio per loro un po’ come una cartina tornasole. All’estero spesso usano un sistema un po’ “americano”, dove sono gli atleti direttamente a scegliere il proprio preparatore fisico, con quest’ultimo che deve garantire un tot di lavoro alla società seguendo questi atleti. Io valuto il piano di lavoro del loro preparatore e poi cerco di ottimizzarlo, per far rendere al meglio ogni atleta in base alla propria situazione personale”.
Sai che sono curioso di natura, con chi stai lavorando in questo momento? Puoi fare qualche nome?
“I nomi sono una cosa che non mi piace fare, a dire il vero. Posso dirti che ho mantenuto un rapporto di collaborazione con atleti come Kazakov, Choulepov e altri russi che ho conosciuto lì nella mia esperienza all’Iskra. Poi lavoro con alcuni giocatori olandesi, serbi e italiani ovviamente. Ne ho qualche decina, è un lavoro così specialistico che non mi consente di poter seguire grandi numeri di atleti, così mi impegno con pochi e di diversi sport. Dallo sci nautico allo sci alpino e atleti di sport di squadra, anche se principalmente seguo comunque i pallavolisti”.
Poco fa hai detto una cosa interessante, almeno per chi come me segue gli sport esteri. Ovvero, soprattutto in America c’è un professionismo a tutto tondo, con l’atleta che anche dal punto di vista della cura di sé stesso è quasi una piccola società…
“Una cosa, questo salto al professionismo, che io sto aspettando prendere piede anche da noi. Dove è l’atleta che pensa alla propria posizione e non è la società che garantisce in tutto e per tutto per lui. Una forma, questa, quasi di assistenzialismo. Negli Usa l’atleta di sport come basket, baseball o futball, si gestisce, si sceglie un suo staff, il suo preparatore, con questi professionisti che garantiscono un certo tot di rendimento. Con le società che stipulano contratti coi giocatori partendo da una base ma poi mettendo anche una serie di parametri per definire l’ingaggio complessivo. Parametri che, per fare un esempio con la pallavolo, potrebbero essere sul mantenere un tot di percentuali in ricezione o in attacco o, semplicemente, un certo numero di presenze in campo se si tratta di un panchinaro. Per le squadre così è una spesa relazionata al reale valore del giocatore, a quanto questo effettivamente rende in campo. Con i giocatori che lavorano con persone di propria fiducia e professionisti per cercare di poter rendere sempre al meglio, sono i giocatori che si costruiscono il proprio staff”.
Tu come mai hai deciso di intraprendere proprio la carriera di preparatore fisico? Anzi, devo dire preparatore fisico o atletico?
“Preparatore fisico. Atletico è rivolto particolarmente alla gestione solo atletica del giocatore. Io ho fatto l’Isef come mia specifica di studi, lì ho studiato i primi rapporti legati sul recupero degli infortuni, poi è nato questo “buco” che ho visto fra la figura del preparatore fisico e quella del fisioterapista. Non c’era una figura intermedia, una figura con le specificità ideali per la gestione dell’atleta che usciva da un infortunio e poi il suo ritorno in forma. Sono andato in sala operatoria per vedere come funzionavano gli arti e poi la sua preparazione fisica, che è una piccola branca della situazione. Devi conoscere tutto dell’atleta per non spingerlo troppo, per non fargli superare i suoi limiti. In un campionato alcuni miei colleghi pensano a usare atleta all’80% della proprie possibilità fisiche per tutto campionato per fargli tenere una certa regolarità di condizione, con conseguenti bassi rischi, altri invece cercano sempre di spingere l’atleta ad usare in ogni occasione anche il 90-95% delle proprie possibilità. Poi dipende da diversi fattori, dalla lunghezza della manifestazione in oggetto, dalla situazione. Per preparare un atleta medio di serie A1, ad esempio, in otto settimane si riesce a portare una persona dalla normale condizione di base all’essere pronta per una A1. Prediligendo all’inizio la parte fisica alla tecnica, poi invertendoli. Il valore principale della preparazione fisica è quando hai una continua “replicazione” del gesto specifico. Ad esempio, prendiamo una schiacciata, per una preparazione fisica a quel gesto si divide il gesto stesso in diverse fasi, rincorsa, caricamento, salto insomma, e facendo esercizi mirati per ognuna di queste fasi. Per un pallavolista più della preparazione fisica in generale è importante una preparazione legata al suo gesto specifico”.
Innegabile poi che nella pallavolo di oggi la preparazione fisica è molto importante...
“Secondo me la preparazione fisica comincia adesso a diventare la base di molte cose o situazioni. Vedo un buco su questo tema che spero venga colmato presto. Non investire da parte di una squadra, o di un atleta singolo, in quelle figure che ti servono per evitare i problemi che è un po’ l’obiettivo principale del preparatore, è un bel rischio. Una volta fatta la frittata puoi solo gestirla meglio che si può, l’importante nello sport di oggi ormai è la prevenzione. E’ fare il massimo per evitare di subire infortuni o problemi. Anche perché è tutto una catena: hai a disposizione in buona forma i tuoi atleti di punta, vinci le partite, raggiungi i tuoi obiettivi che siano salvezza o playoff, ne beneficia la società ma anche il giocatore stesso. E poi, soprattutto, lavorando bene dal punto di vista fisico sulla squadra si riesce ad allenarsi sempre ad alto livello. Si hanno 12 giocatori forti e in buona salute, così in palestra si riesce ad allenarsi meglio”.
Cambia qualcosa nella preparazione fisica di una squadra maschile rispetto ad una squadra femminile?
“Accidenti, cambia tutto. Sono situazioni molto, molto, diverse. L’uomo ha picchi di forza di 72 ore circa, ovvero non puoi stare più di tre giorni senza fare almeno un richiamo fisico, con una donna invece questo margine si riduce a 48 ore. Ci sono rapporti diversi da tenere sempre presente, le donne hanno meno forza esplosiva. Mentre negli sport di resistenza pian piano le donne possono raggiungere gli uomini negli sport esplosivi, come appunto la pallavolo, la struttura e le differenze uomo-donna terranno questo margine ampio ancora molto a lungo. Non è detto che chi allena uomini ed è bravo sia bravo anche nel femminile e viceversa. Le donne tendono ad avere una intensità diversa, una struttura diversa. Insomma, sono due tipi di preparazione molto differenti”.
E fra una prima squadra e una giovanile?
“Sì, cambia anche qua. Cambia perché coi giovani, soprattutto se sono nell’età dello sviluppo, non puoi partire da dei massimali buoni per fisici già formati, perché a volte a 15/16 anni questi massimali ancora non si possono esprimere. E poi si hanno tanti parametri ai quali stare attenti, parametri in età crescita e se non sei parametrato molto bene poi possono insorgere dei problemi fisici. Spesso trovi atleti molto potenti fisicamente, ma nei quali si vede che non c’è stato un certo tipo di preparazione fisica. Ad esempio, il bambino che calcia forte il pallone da calcio continuerà sempre a tirare forte anche senza una preparazione fisica adeguata alle sue caratteristiche, ma appena questo suo equilibrio si rompe, per un trauma o altri problemi, allora poi rischiano di insorgere altri problemi. Quando si lavora coi giovani, e questo è un consiglio che voglio dare, dal punto di vista fisico bisogna sempre farlo con la supervisione di esperti e professionisti, altrimenti si corrono diversi rischi”.
Ma cambia anche fra una serie A e una squadra delle categorie inferiori?
“Sì. Cambia l’intensità dell’allenamento, il numero di allenamenti e diversi fattori. Ma poi principalmente la differenza nasce da fare o meno il professionista e non. I professionisti, non dovendo fare altro, hanno tempi di recupero diversi, possono riposarsi e recuperare in un certo modo a differenza di quello che il giorno dopo deve alzarsi presto per aprire le serrande del suo negozio”.
Certo sarebbe importante per tutte le squadre anche delle categorie minori poter contare su un preparatore fisico...
“Più che altro anche le squadre non professionistiche dovrebbero puntare sulla supervisione. A chi non ha grandi possibilità economiche io consiglio di fare riferimento a qualcuno di un certo livello, ad un professionista, che faccia da consulente a qualcuno che gira intorno alla tua squadra, a qualche allenatore o dirigente che sia sempre a contatto diretto con la squadra. In modo tale che questo professionista dia una “infarinatura” generale e alcune linee guida da seguire a chi poi possa lavorare costantemente con la squadra. Così si ha almeno la garanzia che sotto certi parametri non ci si muove e non si possono creare grandi danni. Io la cosa che consiglio è di affidarsi a qualcuno come supervisore per non fare danni dal punto di vista fisico ala squadra. Se si ha lavorato bene poi, quando un giorno si smetterà di giocare, fisicamente si continuerà a stare bene mentre se non si è lavorato abbastanza bene il rischio è che anche dopo aver smesso vengano fuori doloretti ed acciacchi”.
Dei tuoi anni a Trentino Volley che ricordi hai?
“E’ stata un’esperienza molto importante, per me la mia prima esperienza principale. Seguivo l’Itas anche prima che diventasse Trentino Volley, prima della A1 già avevo avuto rapporti lavorativi con Alexis Batte e altri quando c’era Cottarelli allenatore. Poi ho lavorato con Agazzi e altri giocatori, ancora oggi sono in ottimi rapporti con lo staff anche se ci sono state varie evoluzione. All’inizio ci si era affidati a professionisti locali e oggi invece arrivano anche da fuori regione. Ora ho conosciuto Cristian Verona e mi sembra una persona molto valida, un professionista serio e molto preparato. Professionisti validi ce ne sono, poi come in tutti i lavori anche qui ci sono diversi punti di vista, chi punta più a preservare l’atleta, chi rischia di più. Adesso che ho uno studio mio qui a Trento, viaggio ancora molto ma non così a lungo come prima, posso lavorare più tranquillamente con atleti e persone comuni”.
Come si diventa invece bravi preparatori fisici?
“Il “bravo” è sempre relativo. Sei bravo se hai la fortuna che i tuoi atleti facciano sempre risultati. Io vedo bravo chi riesce ad aumentare le prestazioni dei propri atleti senza creare loro problemi. Tu sei un mio giocatore, io lavoro su di te per aumentare le prestazioni e non ti creo problemi di natura fisica, non ti procuro rogne per colpa mia. Credo che il preparatore più bravo sia quello che non si vede”.
In questo ramo quanto è importante l’aggiornamento professionale continuo?
“Ci sono tutte una serie di metodologie e di continue evoluzioni a livello muscolare e fisico. Io pesco tanto dalla medicina, che credo sia in anticipo sulla preparazione fisica, ti informi e conosci e poi metti in rapporto con le tue conoscenze e trovi cosa fare, come applicare ciò che impari. Poi dipende sempre dall’atleta, dal luogo, dal momento, nel volley poi hanno molto peso anche gli aspetti psicologici. Ad esempio, atleti che si allenano bene in settimana e poi vedono il campo e non riescono ad esprimersi altrettanto, o viceversa. Bisogna sempre pensare bene a tutto quello che concerne la situazione personale di un atleta. Ora sta nascendo questa idea di investire sulla propria macchina corpo. Dopotutto ci possono cambiare affetti, casa, macchina, ma il corpo non puoi cambiarlo mai. Spendi 1000 euro l’anno per la cura della macchina? Secondo me bisognerebbe spenderne altrettanti per la cura del proprio corpo”.
In Russia invece come è andata? Quando facevi il preparatore all’Iskra Odintsovo?
“Positivo come esperienza di lavoro, loro hanno una impostazione molto “militaresca”. Lavorano quasi come in una azienda giapponese. Sei legato alla società, ti muovi e ti comporti in un certo modo. E questo per un occidentale è un bel cambiamento. Però dal punto di vista professionale è stata un’esperienza molto valida, visti anche i buoni risultati raggiunti dall’Iskra in Top Teams Cup (semifinale eliminata da Modena, ndr) e il buon campionato fatto in Russia”.
La pallavolo di oggi è davvero così tanto fisica o c’è ancora spazio per la tecnica?
“La tecnica è la base di tutto, tu pensa cosa vorrebbe dire schiacciare se nessuno sa ricevere. Se non hai la tecnica non fai nulla. Vedo adesso come adesso due figure fondamentali, ma i veri giocatori forti sono quelli che ricevono, di attaccanti ne troviamo ovunque al mondo che randellano e stop. Ma i posto-4 veramente forti che ricevono e attaccano bene sono molto pochi. I Gortzen o Papi insomma, gente che riceve bene quanto attaccano bene, è equilibrio fra la ricezione e l’attacco che serve. Anziché solo fisicità. La fisicità è importante ma fino a un certo livello, finché non diventa di un certo livello. Quando la palla arriva lì sono in tanti a saper randellare, ma la palla deve arrivare lì. Servono bande e un libero che coprano. Servono giocatori tecnici, insomma, con solo la potenza non si va da nessuna parte. Uno che per me ha tecnica da vendere è Hübner, un grande giocatore. Senza tecnica non si va da nessuna parte, la stessa Russia insegna che solo col fisico non si vince nulla”.
Ci sono stati alcuni giocatori “difficili” da trattare? I cui casi, insomma, han richiesto molto lavoro?
“Alcuni sì, avevano avuto problemi fisici abbastanza importanti e così la loro gestione è stata complicata. E anche le risposte dei diversi fisici sono spesso molto diverse”.
Invece cosa deve fare un preparatore fisico nel caso di un’atleta che ricomincia a lavorare dopo un infortunio importante?
“Il top per un preparatore fisico è avere uno che sta bene, se la sua condizione di base non ha problemi io l’aumento. Il fisioterapista invece ti riporta in condizioni di base dopo un infortunio, anche se non è facile. Il momento dopo la rottura è il momento più delicato, in quel caso bisogna esser precisi che mai”.

CHI E’ LUCA PALLAVER

Nato a Trento il 5 ottobre del 1973, ha giocato a partire da 14 anni nella Virtus Nordauto in serie D, titolare con Maurizio Rossi allenatore, dopo una prima esperienza nel calcio come portiere alla Cassa Rurale di Villazzano. Ha iniziato da centrale prima di diventare banda e, negli ultimi anni di attività, diventare opposto. Quindi ha giocato in serie C con la Virtus prima di passare all’Olimpia Trento in Terza divisione. Con l’Olimpia si scalano tutte le categorie sino ad arrivare in D. come preparatore fisico, dopo il diploma Isef, ha cominciato a lavorare dal 1995 e finora ha lavorato a Trentino Volley, Iskra Odintsovo, Argentario ed ha prestato le sue consulenze a diversi atleti di sport di squadra e singoli.

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