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Il personaggio

Matteo Burgsthaler, Reima Crema (A2 maschile)

Il pomeriggio è iniziato da un po’, eppure il «Personaggio della Settimana» s’è svegliato da poco. Dai, va bene, per questa volta lo perdoniamo. Ne ha di buone ragioni Matteo Burgsthaler per svegliarsi tardi, dopo aver fatto mattina per festeggiare la promozione della sua Reima Crema in A1. Una A1 messa seriamente a repentaglio dagli “eurini” sonanti cacciati sul tavolo da Roma. Eppure per Matteo questa è stata una grande vittoria, conquistando così qualcosa di storico per ogni squadra e per ogni giocatore. Non potevamo così non rompergli le scatole, per assegnargli il titolo di «Personaggio della settimana». Buona lettura.

Matteo, prima di tutto complimenti per la bella vittoria...
«Grazie, grazie tante».
...anche se difficilmente potrete godervi questa A1...
«Oddio, le voci che si sentono circolare in giro non sono certo positive. Però quello che abbiamo fatto noi quest’anno rimarrà indipendentemente dalle decisioni che prenderà la società. Mai nessuno ci potrà portare via le vittorie che abbiamo fatto, i risultati raggiunti e l’esser arrivati in serie A1».
Con che spirito avete affrontato questa gara-3, sapendo bene che in A1 ci sarebbe andata Roma e non eventualmente voi?
«In modo molto sereno e tranquillo, così come tutto il resto della stagione d’altro canto. Non ho mai pensato che saremmo arrivati a questi livelli, invece partita dopo partita abbiamo conquistato sempre una maggior consapevolezza di noi e nei nostri mezzi, senza mai sentire alcun genere di pressioni. All’inizio della stagione puntavamo alla salvezza e nulla più, invece piano piano vedevamo che ce giocavamo bene, che ce la giocavamo con tutti e poi, passo per passo, siamo arrivati a questo secondo posto. Quasi senza nemmeno rendercene conto».
I vostri tifosi come hanno preso la cosa?
«Le voci girano ma loro cercano di non badarci. Anche perchè finchè non c’è nulla di certo nemmeno loro come noi possono fare nulla. C’è ancora tantissimo entusiasmo, questo sì. Basti pensare che ieri sera erano a cena con noi, abbiamo fatto festa per la promozione raggiunta e anche loro, giustamente, vogliono godersi tutto quello che è stato fatto. Fino alla settimana scorsa sembrava tutto ormai deciso, con Roma che aveva già accordi scritti sia con Gioia che con Crema. Ma noi non ci siamo mai, nemmeno per un momento, posti il problema. Eravamo tutti concentrati solamente a vincere».
La società cosa vi aveva detto in questi giorni? Non vi ha mai fatto alcun genere di pressioni?
«Nessuna pressione, anzi! La società ci ha dato un grandissimo premio per la promozione. Ma è tutta la stagione che la società non ci mette alcun genere di pressione, anche quando per esempio abbiamo perso a Lecce o Gioia in campionato hanno tenuto un comportamente eccezionale. L’annata è stata più che positiva, la società era contenta e figuriamoci noi!».
Negli ultimi giorni era venuta fuori anche la voce che invece di cedere i diritti a Roma qualcuno a Crema pensava di spostarsi a Milano per fare la A1. Chiacchiere da troppe birre al bar o una cosa possibile?
«L’ho sentita anch’io questa voce. Ha iniziato a girare ancora da quando sembrava che fosse l’Itas Diatec a spostarsi a Roma. Si chiacchierava di Crema che potesse spostarsi a fare la A2 a Milano. Queste comunque sono cose che sfuggono alla nostra portata, noi giocatori possiamo fare ben poco».
Chi mastica un po’ di pallavolo ormai alla “mercificazione” dei diritti ci è abituato, ma tu della compravendita delle categorie cosa ne pensi?
«Secondo me non è un’ottima soluzione. Facendo così si rischia di favorire alcuni consorzi di gente che magari un anno fanno uno squadrone, poi l’anno dopo retrocedono oppure non si iscrivono nemmeno. Secondo me chi si conquista sul campo una categoria è giusto debba confrontarsi con la realtà superiore. Esattamente come hanno fatto Cagliari e Santa Croce l’anno scorso. Anche con pochi soldi ci hanno provato e Santa Croce è retrocessa solamente all’ultima giornata. Hanno dato la possibilità a gente che mai aveva giocato in A1 di mettersi alla prova, in modo che sia anche una sorta di premio per l’anno prima. Secondo me su questa questione si dovrebbe fare come nel calcio, chi sale in una categoria ci resta. Non credo sia giusto comprare o vendere categorie».
Chi è favorevole alla compravendita dice invece che è una cosa necessaria, per evitare che nelle massime serie ci siano squadre “materasso” che rischino di falsare il campionato e che è una cosa utile per proteggere i bilanci delle squadre...
«Forse, ma poi con questa compravendita di diritti non sai mai nemmeno dove saranno le squadre contro cui giocherai, non si sa sino all’ultimo giorno dove si andrà a giocare. Ormai quasi ogni anno c’è un baillame di diritti che vanno e vengono, diritti venduti magari per coprire i debiti dell’anno prima... E’ una cosa abbastanza strana, come iscriversi a un campionato nonostante si hanno ancora debiti pregressi, come fanno alcune squadre. Allora siamo tutte aziende e non più società sportive. Secondo me bisogna separare il discorso aziendale da quello sportivo. Chi va su ci resta. Anche perchè la gente che rimarrà a Crema in A2 l’anno prossimo con che stimoli affronterà il prossimo campionato? Con che stimoli potrà cercare di fare meglio rispetto a quello già fatto quest’anno? Il rilassamento l’anno prossimo qui ci sarà quasi sicuramente e sarà brutto. Anche perchè il pubblico ormai è abituato a certi risultati, la società anche, sono tutti abituati a vincere e basta. La situazione a Crema l’anno prossimo non sarà facile».
Il rischio poi con le grandi città è sempre quello: dopo pochi anni tutto muore?
«Esatto, e poi sbagliano. Basta vedere cosa ha fatto Crema: è salito dalla B1 alla A2, si è salvata in A2 ed ora ha conquistato questa promozione in A1. E in questi anni di A2 il pubblico è sempre stato in crescita, gli sponsor anche. Invece, se non si fa il botto nelle grandi città già al primo anno si rischia seriamente di chiudere. Serve una cosa graduale, che attiri e dia solidità al progetto. A Milano o Roma però una B1, una B2 o una A2 non basta, devi avere per forza una A1 d’alto livello per vincere la concorrenza di sport come calcio e basket. A Milano l’Asystel, ad esempio, avevano fatto una grande cosa perchè aveva iniziato dal basso raccogliendo attorno a sè sempre più persone».
Queste 48 ore da giocatore di A1 come le hai vissute? Come le ha vissute la squadra?
«La verità? Non ci si pensava nemmeno. Pensavamo solo a farci gavettoni, a regalare magliette, a distruggere il palazzetto... A goderci cori e feste a tutto spiano. Questo nostro grandissimo risultato non cambierà mai, nemmeno vendendo i diritti, qualunque cosa succeda».
Con ogni probabilità domani si ufficializzerà la cessione del titolo di A1 (vedi comunicato ufficiale della Reina Crema): che bilancio puoi tirare della tua stagione?
«Della mia stagione personale positiva senza dubbio. Magari ho avuto meno spazio di quello preventivato all’inizio della stagione, ma in un contesto dove dovevamo salvarci e invece abbiamo giocato così al di sopra delle aspettative gli spazi in campo dovevi tirtarteli fuori con le unghie e con i denti. Mediamente Crema è una squadra giovane, così Monti spesso si è affidato a centrali più esperti come Finazzi e Egeste. Io e Cazzanella, mio coetaneo, quando abbiamo giocato ci siamo sempre espressi bene. Adesso vogliamo giocare l’anno prossimo, qui o da qualche altra parte. Loro ci hanno chiesto di restare, per fare da titolari la A2 l’anno prossimo, si vedrà tenendo conto di tutti i fattori».
Magari non è mancata un po’ di fiducia verso di te? Non sempre Egeste e Finazzi sono sembrati al top...
«Sai, un po’ di rammarico c’è, anche perchè a inizio stagione questo era l’anno nel quale dovevo giocare con continuità. Ma nel contesto nel quale eravamo, secondi in classifica, vincevamo praticamente sempre, con il gioco al centro poi che non è mai stato un punto sul quale costruire il nostro gioco, era difficile fare cambi se non nel momento del bisogno. Si può dire che ho avuto meno spazio di quello che pensavo, ma non si può dire che ne ho avuto poco. Almeno andati in A1 dai, va benissimo così. Pensa se non giocavo con continuità e retrocedevamo!».
Cosa avete avuto più di tutte le altre nella regular season e poi nei playoff?
«Rispetto a tante altre squadre come Gioia del Colle, Taranto, Loreto o Bassano, noi non avevamo i due o tre fenomeni praticamente di A1. Gioia del Colle, ad esempio, ha dentro gente come Batez che è campione olimpico o Divis. Loro sono arrivati in un contesto dove dovevano vincere, dove il nervosismo la fa da padrone in squadre che puntano in alto e non vincere è una delusione enorme. Se loro giocano a mille ci suonano senza problemi, siamo andati a giocare a Gioia in marzo e ci hanno massacrato. Un 3-0 in una quarantina di minuti... Ma loro questa pressione ce l’hanno ogni partita. Nei playoff invece noi abbiamo avuto il vantaggio di giocare due gare su tre in casa, con intorno migliaia di persone con la maglietta blu che urlavano di continuo. Invece durante la stagione c’è stato sin dall’inizio una netta spaccatura fra la prima e la seconda fascia della A2 e noi siamo stati i più costanti. Solo poche partite e pochissimi set persi in un modo un po’ cosi, per il resto invece abbiamo sempre tenuto un livello di gioco costante e molto alto. Poi Yoko e Cazzaniga hanno fatto davvero un campionato stratosferico...».
Con un Cazzaniga davvero stellare, che ha mostrato di meritare la A1.
«Sicuro. Quando avevo cominciato l’anno con la diagonale principale Travica-Cazzaniga pensavo che uno aveva 19 anni e che l’altro praticamente non ha mai giocato titolare. Ammetto un po’ di titubanza all’inizio, invece partita dopo partita Dragan ha sempre più preso confidenza con il campo domenica dopo domenica. E Cazzaniga ha dimostrato di essere davvero fortissimo. Su palla alta è un giocatore stratosferico, non sbaglia mai e in battuta fa sempre, sempre, sempre, danni. E’ un giocatore da A1. Non per niente la cosa bella è che Montali l’ha portato con sè in nazionale. Meglio così, meglio lui che si è fatto una stagione esaltante piuttosto che un altro giocatore che quest’anno non ha giocato su livelli così alti».
Che ricordi hai della stagione in A1 con l’Itas?
«Bellissimi, senza ombra di dubbio. Dall’Under 18 esser catapultato nel mondo del professionismo è stata la cosa che mi ha cambiato la vita. E’ stato in quella stagione che ho capito che mi sarebbe piaciuto solo giocare, fare questo per vivere, diventare un giocatore professionista. Poi in questi due anni di A2 ho ritrovato tantissima della gente con cui ho giocato quell’anno, da Pecoraro a Fenili sino a Giombini. Tutti giocatori che io in quell’anno li veneravo. All’inizio ero intimidito ad allenarmi con loro, con gente così. Adesso invece giocarci contro è bello, anche se un po’ particolare. Murare il Giombo in partita poi è stato un po’ strano».
Ti piacerebbe prima o poi tornare a casa? Nella tua città e nella tua società?
«Sì, mi piacerebbe. Il sogno di ogni giocatore è vincere lo scudetto, sono anni che faccio il tifo per l’Itas ma forse sono io che porto sfiga... Sinceramente adesso c’è una bella differenza di livello fra me e un giocatore di A1, c’è una differenza enorme. Per esempio fra me e Della Lunga c’è molta differenza, lui è un un vero fenomeno e lo era anche quando ci ho giocato contro in A2. Io ormai sono due anni che gioco da terzo, quasi “a gettone”, adesso mi piacerebbe per uno o due anni giocare sempre e poi si vedrà. Ma se mi immagino seduto su una panchina di A1 l’unica panchina a cui penso è quella di Trentino Volley».
L’altra tua ex squadra invece della Ronda Atesina, ora Blue City, intanto ha fatto un suo bel campionato di B1.
«Sono davvero felice per loro. Gianma (Rizzo, ndr) lo vedo praticamente sempre perchè abitiamo attaccati e mi tiene informato su tutto quello che combinano. Ma io non avevo dubbi che avrebbero fatto un bel campionato, Nicola Giuliani è veramente un grande coach e avendo a disposizione giocatori di categoria era quasi certo che facessero bene. Nicola poi la serie B la conosce benissimo, non erano allo sbaraglio e sono stati bravi a fare questa stagione da protagonisti».
Da quell’anno di A1 che ti sei fatto tu è cambiato e cresciuto molto il volley in Trentino: l’Itas ne ha viste di cotte e crude e ora in serie B c’è una selva incredibile di squadre.
«Magari porta bene che io stia lontano da casa... devo continuare così allora. Scherzi a parte è bello così. Fino a qualche anno fa il massimo era la A2 e i giocatori trentini potevano sperare al massimo di giocare in B2, invece ora è cambiata e in meglio. I giocatori che venivano da fuori allora erano pochissimi, adesso invece in tanti vengono da fuori, sanno che a Trento si segue molto il volley. La A1 ha avuto e ha una parabola di seguito incredibile».
Quattro città diverse in quattro anni, come si vive da globetrotter della pallavolo?
«Ho avuto la fortuna di trovarmi sempre in città accoglienti, dove si vive bene. Sono tutte città molto diverse, Spoleto e Arezzo a dir il vero sono molto simili, due città collinari. A Spoleto mi ci sono trovato più che benissimo, la gente è incredibile, l’ambiente è splendido e la società ottima. Poi a Spoleto ho conosciuto Provvedi che è davvero grande allenatore. M’ha chiamato giusto stamattina per parlare di un po’ di cose, ormai sono due anni che ci rincorriamo e mi piacerebbe riaverlo. E’ sicuramente il miglior allenatore che ho mai avuto. Da dopo l’anno con la Ronda sino a quando sono tornato a fare il precampionato con l’Itas di Prandi ero un giocatore completamente diverso. Ad Arezzo c’era una società in evoluzione, quell’esperienza mi è servita per maturare. A Bergamo poi si vive benissimo, lì abbiamo subito stretto una grande amicizia con le ragazze della Foppapedretti. Si usciva insieme alla sera, avevamo i tifosi in comune, andavamo a vedere le nostre rispettive partite. Abbiamo avuto anche fortuna, in una città sola e non enorme è davvero difficile avere due serie A di diverso sesso».
Una cosa questa, di una serie A maschile e femminile, impensabile a Trento secondo te?
«Non ti saprei dire nel dettaglio, non conosco benissimo la realtà femminile trentina. Certo sarebbe una situazione con un bel punto di domanda, ma così come credo sarebbe difficile anche gestire, ad esempio, un’Itas in A1 e una Blue City in A2. Non per questioni di impianti o tifosi, ma a livello di sponsor sarebbe difficile convivere in una sola realtà piccolina. Ma sarei felice di esser smentito».
Smaltita la festa promozione?
«Insomma... Ieri ero a casa, sono salito in Bondone a vedere il Giro. Poi in serata sono tornato a Crema per la festa e poco fa sono tornato a casa, a Trento. Ci siamo salutati tutti, questa festa sfrenata è stata la conclusione più ovvia a un anno del genere. Siamo un gruppo unito, tutti amici, e bada che queste non sono le solite frasi di rito... Siamo un grande gruppo, nel quale sono sorti pochissimi piccoli problemi durante tutto l’anno, non c’è mai stato un ambiente tipo caserma, anzi... Anche gli anziani del gruppo, persone come Egeste o Finazzi, sono davvero degli uomini eccezionali».

CHI E’ MATTEO BURGSTHALER

Nato a Trento il 18 febbraio del 1981, gioca nel ruolo di centrale ed è alto 199 centimetri. Matteo ha iniziato a giocare a 15 anni con la Cassa Rurale di Villazzano di Pizzini. Nel 1998, a 17 anni, passa all’Itas Mezzolombardo dove gioca nelle giovanili ed in serie C. Nella stagione 2000/2001, la prima nella storia della pallavolo trentina in A1, è inserito in prima squadra. Quindi la stagione successiva, la 2001/2002, è in prestito in B2 con la maglia della Ronda Atesina. Quindi negli anni successivi Matteo va a Spoleto (B1), Arezzo (A2), Bergamo (A2) e Crema (A2). Quest’anno ha vinto i playoff della serie A2 conquistando la promozione in A1.

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