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Il personaggio

Rogelio Hernandez, Argentario Calisio (Under 18)

Il mercato di serie B è agli sgoccioli. All'inizio della stagione, dei ritiri e delle preparazioni, mancano davvero pochi giorni. Una serie B che il nostro personaggio della settimana, l'ex allenatore della Tridentum Rogelio Hernandez, conosce molto bene per averne preso parte con la sua squadra nelle ultime tre stagioni. Quale occasione migliore quindi per trarre un primo bilancio sul mercato delle trentine, parlare del passato e del futuro con l'allenatore cubano? Rogelio quest'anno, senza più squadre di serie B da allenare, ripartirà dai giovani dell'Argentario Calisio. Una sfida ugualmente stimolante, come ci racconta in questa intervista. Buona lettura!

Come mai la decisione di concentrarti sul giovanile quest’anno? Eppure alcune offerte da fuori e anche in serie C non ti mancavano?
«Penso che la cosa che mi ha attirato di più sia il fatto che nella carriera di un allenatore devi anche fare esperienze di questo tipo. Le società che puntano sul giovanile di solito devono avere una certa organizzazione e io sono uno che sull'organizzazione punta tutto. A dirti la verità non c'erano in giro progetti che mi attirassero più di quello dell'Argentario e, a dirle tutte, volevo a tutti i costi fare un'esperienza nel giovanile con un gruppo importante. Così ho deciso di vedere se riusciamo a lavorare con un po’ di metodo quest’anno, anche con ragazzi di 17 anni".
Anche se per un allenatore abituato alle prime squadre cambia moltissimo il modo di lavorare.
«Cambia moltissimo ovviamente. E’ tutto un discorso di gestione di questi ragazzi giovani, di motivarli al punto giusto non solo per la vittoria ma per la loro crescita. Quando in questi mesi ho detto ad alcuni colleghi della mia scelta da alcuni mi sono sentito rispondere "hai optato per una cosa più tranquilla". Però giochiamo la serie D il sabato sera, l'Under 18 la domenica mattina e con quattro allenamenti a settimana. Non credo sia una cosa tanto più tranquilla...».
Sei rimasto sorpreso della decisione della Tridentum di fondersi con la Trenta Volley?
«Penso che sia stata fatta una cosa molto importante a livello regionale. Sono dell’idea che in Trentino, per le sue dimensioni e tutto, non ci possono essere quattro o cinque B2 ed io questo lo penso già da diverso tempo ormai, da almeno un paio d’anni. Dovevano per forza succedere dei cambiamenti, non si può tenere un ritmo così alto con così tanti investimenti di soldi. C'è il rischio che si sprechino molti soldi, credo che i numeri giusti siano una o due squadre trentine competitive in ogni singola categoria, questo sarebbe importante territorialmente. Certo, sarebbe limitante per noi allenatori, ma sarebbe utile per tutto il nostro movimento. La scelta della Tridentum non è stata una questione di gestione o di organizzazione, bensì di affrontare un problema economico che non è da poco. Purtroppo nel modo dello sport, adesso come adesso, gira tutto intorno a lì, attorno ai soldi".
E ogni anno ormai sempre di più le “questioni economiche” prendono sempre più peso. Ormai non si può più prescindere da (tanti) soldi e bilanci...
«Diventa sempre più impegnativo. C'è molta più competizione anche in tema di mercato. In B2 noi allenatore dobbiamo imparare a gestire bene le risorse che abbiamo. Non siamo dei maghi, non possiamo in un anno fare migliorare un giocatore in modo così evidente da fargli fare un campionato completamente diverso da quello disputato nell'anno precedente. Noi dobbiamo mettere insieme una squadra, far sì che ogni giocatore sia nella situazione migliore, così da mettere lui nelle condizioni di dare il massimo. Adesso per me cambia tutto, andando a lavorare con i giovani sarà importante la crescita dei giocatori. Parlando della scelta della Tridentum certamente si potevano valutare anche altre strade, ma in quel momento la scelta più logica era quella, condivisibile o meno, ma una dirigenza che ha sempre tenuto a cuore la propria squadra come quella della Tridentum sa qual era la mossa migliore da fare».
Eppure si parlava di te come allenatore della Trenta, come mai poi è stato scelto Marco Kalc?
«Sai, a dire la verità, non lo so. Penso che ci siano delle dinamiche in questo genere di decisioni che alcune volte vanno oltre a quello che può essere un pensiero comune. Io ritengo che tutte le scelte vengano fatte sempre con criteri che, a volte, si scontrano all’interno di un Cda con disaccordi o punti di vista differenti, così da spostare la bilancia su uno o sull’altro. Credo la Trenta abbia tenuto dei criteri che li hanno portati, alla fine, a fare questa scelta. Anche se i criteri, alla fine, sono abbastanza relativi, alla fine sono sempre le persone che scelgono i loro collaboratori. Ogni scelta è una sfida, non puoi presagire nulla se saranno scelte vincenti o meno se non viene almeno fatta un’analisi molto ma molto puntigliosa a priori. Faccio i miei migliori auguri a Marco Kalc ed alla Trenta».
L’allenatore deve essere allenatore o deve fare più il manager?
«Dipende sempre dalla categoria, dalla società, da moltissimi fattori. Oggi si tende ad avere più spazio nella direzione dello staff e dare anche delle linea guida allo staff se la società te lo permette. E’ importante che ci sia un feeling molto, ma molto molto particolare fra società e allenatore, però il coach non deve solo esclusivamente puntare sull'aspetto tecnico o tattico, deve andare oltre. Deve aiutare la società anche per quel che concerne la gestione delle risorse fuori dal volley, dell’immagine della società. Io sono convinto che l'allenamento mentale molto presto prenderà molto piede anche in Italia, non solo allenamento fisico ma anche un aspetto mentale da curare. Ovvero, come l'atleta si atteggia in allenamento o in partita e capire le sue motivazioni e le sue reazioni in determinate circostanze. Così da capire quando toccare le sue motivazioni per stimolarlo a dovere. E' poi l'allenatore che da l'impronta anche per l'immagine dell’azienda, come la società è strutturata, ecc.... E’ una cosa a cui io punto. Non dobbiamo essere solo il pastore delle pecore, sarebbe molto riduttivo oggi come oggi, ma dipende sempre però dalle relazioni e dai bisogni della società. Se una società ha obiettivi ben prestabiliti ci sono altre persone che si occupano di quello che c’è intorno all'aspetto sportivo, altrimenti si interviene in prima persona».
Della squadra che ha messo su la Trenta che ne pensi? Se arriverà anche Gianmaria Rizzo sarà una bella pedina in più...
«Per i nomi che ho sentito si sta strutturando bene. Come non si sa ancora se Rizzo ci sarà o meno, se ci sarà Zancarli o meno, finché la squadra non sarà al lavoro tutto quello che viene detto, secondo me, sono solo chiacchiere da bar. Bisogna prima vedere come sta in campo la squadra. Perchè solo la persona che ci lavora con questi componenti può sapere cosa sono in grado di dare. Possono essere grandi giocatori in un contesto nel quale non possono rendere al massimo, capita spesso che si comprino grandi giocatori, che si allestisca una grande squadra ma che non riesce a dare il meglio di sè. E ci chiediamo perchè? Forse perchè noi allenatori non abbiamo messo il giocatore nelle sue condizioni ideali. Comunque dobbiamo aspettare un po’ prima di dare i primi giudizi sulle diverse squadre».
Di questi tuoi tre anni in B2 al Villazzano/Tridentum che bilancio puoi fare?
«Su questo potrei scrivere un libro... Ho imparato tanto certamente, su ogni esperienza che faccio, su ogni cosa, a me non mi basta dare il cento per cento, devo dare almeno il 300 per cento. Penso sia stata un'esperienza più che positiva perchè sono stati anni molto difficili, gestendo risorse nuove ogni anno, risorse con loro problematiche. Quello che comporta gestire squadre semiprofessionistiche di culture diverse mi ha aiutato tanto a crescere. E’ il confronto con giocatori e colleghi che fa crescere un allenatore. Un allenatore deve essere molto aperto ad ascoltare, vedere che succede tutti i giorni in palestra. Penso che negli ultimi due anni abbiamo ottenuto due playoff sempre migliorando il risultato precedente. C'è stata una crescita esponenziale, questo mi fa molto piacere ma non fa si che io viva su questo. Non ho ancora ottenuto niente, ho traguardi più importanti di questo. Mi sono buttato in questa avventura da quando avevo 8 anni, ho sempre e solo pensato al volley, sempre ad alti livelli, sono nato per questo, purtroppo le cose mi hanno sempre guidato su altre strade ma io vedo molto, molto, positivo questa esperienza. I risultati, che sono il parametro che spesso si usa per giudicare noi allenatori, sono stati ottimi. Poi ho sempre avuto ottimi gruppi di ragazzi, quest’anno abbiamo avuto migliaia di infortuni e difficoltà ma c'è sempre stato un gran gruppo. Perdere Corrado alla terza partita è stata durissima, un centrale importante quanto l’opposto e un giocatore caratterialmente vitale, che carica la squadra, che fa tirare il ritmo, ho avuto tantissime cose da un giocatore di questo tipo. Abbiamo raggiunto un grande obiettivo facendo sì che per la prima volta, o almeno così mi hanno detto, una squadra trentina aveva passato il primo turno dei playoff. Prima è sempre stato fallito al primo turno. Certo, limitativo come obiettivo, avrei preferito passare ancora, ma l'importante è vedere anche il cammino che ci porta alla vittoria. Abbiamo anche valorizzato tanti giocatori trentini di serie C».
Come Tridentum in questi anni avete sempre puntato anche molto su giocatori extraregionali, scelta vincente solo per metà però...
«Io penso che c’è quel vecchio detto che dice “il prato del vicino è sempre più verde”. Non sempre però è così. Ci sono situazioni che secondo me possono anche essere fattibili usare risorse esterne. Prendiamo giocatori di una certa categoria, un po' come se Gianmaria Rizzo andasse a giocare fuori città. Se si va a pescare giocatori da fuori, di altra categoria, allora innalza livello, ma se si va a prenderli per prenderli con tutti i giocatori che ci sono qua e che militano o hanno militato in B2 è una cosa non da sottovalutare. Se prendiamo 2/3 giocatori che fanno la differenza ok, ma poi hai anche 7/8 giocatori regionali che tengono il campo almeno. Poi dipende ovviamente dagli obiettivi della società, se vuoi vincere come minimo devi avere quattro giocatori come pilastro della squadra che vengono da un’altra categoria. Ed è un po' quello che è successo negli ultimi 3/4 anni, da San Donà alla Blue City all'Anaune, hanno vinto il campionato con pesanti innesti di giocatori da fuori. Il fattore primario sono gli obiettivi della società, ma penso si possa fare un mix, fra regionali e giocatori da fuori. L'Itas in questo ha dato una mano molto grossa ai vivai regionali, cominciano a venire fuori giovani interessanti, per una B2 e per buone serie C cominciano ad arrivare giocatori interessanti in regione».
Quest’anno poi c’è stato anche il problema con Ferro... adesso, a mente fredda e dopo un po’ di tempo, che cosa è successo esattamente?
«Guarda, penso che Ferro sia un giocatore un po’ particolare. Io ho molta stima di lui, abbiamo passato dei momenti belli e brutti insieme. Il rapporto fra alzatore e allenatore è un po’ particolare, alla fine ci si ama, ci si odia, ci si ama, ci si odia... Parlavamo tanto, avevamo un bel rapporto, lui stava passando un momento un po’ particolare, c’erano alcuni problemi che lo avevano condizionato parecchio nei suoi comportamenti e atteggiamenti. C’è stato un momento nel quale la nostra diagonale alzatore-opposto non funzionava più, non per colpa dell’uno o dell’altro ma per una situazione particolare che si era venuta a creare con Ravagnan. Si è creata piano piano, che è la cosa peggiore, un acutizzarsi della situazione. Piano piano, e quando è arrivato il momento clou della cosa è stato nella partita contro l’Itas, quando abbiamo perso male al ritorno. Lì sono state dette 2/3 cose che io non tollero. Soprattutto in partita. Credo che gli uomini parlando possano risolvere tutto. Poi la società si è presa una settimana di tempo facendo un giro giocatore per giocatore per parlare, per mettere in luce i punti positivi e quelli negativi, quello che andava bene o male. E dopo, tornati in palestra, c'è stata una lite fra Ferro e Ravagnan, quasi senza motivazioni. E' stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. A quel punto Ferro è stato allontanato dalla palestra e la società ha preso la sua decisione. Questa è stata per me la cosa più negativa di questi tre anni, la mia pecca nel mio libricino nero è stata non riuscire a gestire oppure a capire prima questa situazione. In una situazione come questa un uomo spogliatoio può metterci una pezza, può essere il cordone fra il tecnico e lo spogliatoio. Un Corrado Furlani insomma. Certo le cose di questo tipo in palestra non possono succedere, la società credo ha preso la giusta decisione».
Della nuova Itas Under 20 e del Salumificio Trentino che ne pensi? Riusciranno a salvarsi?
«Sull'Under 20 dell'Itas non so ancora cosa dirti. Non so se arriveranno ragazzi da fuori, so che De Paola farà qualche partita in B2 e penso sia una cosa positiva soprattutto per il ragazzo, che avrà occasioni per giocare con una certa regolarità. E’ piu che altro un problema di gestione per lui, sarà stanco se si allena sempre ad alti livelli con la A1. E' stato dato via Sbrolla ma Cecato ha fatto bene in under 18, Sbrolla certo faceva la differenza in questa categoria, la B2 non era la sua categoria e la società ha fatto bene a darlo in prestito in B1. Adesso voglio vederli in campo, come per la Trenta, le individualità ci sono con gente come Gottardi, Leonardi, Castellani. Giocatori che conoscono il campionato ed hanno più esperienza, più forza fisica e maggiore sapienza tattica. Bisogna solo vedere come si amalgamano con il nuovo alzatore. Segnalini è bravo tecnicamente, l'ossatura della squadra già c’è, dipende tutto dal trovare il ritmo giusto con il nuovo alzatore. Il C9 poi è ancora un cantiere aperto. Sarà molto importante trovare un opposto importante, trovare un giocatore di palla alta che metta palloni difficili per terra. Egon darà equilibrio alla squadra, è un grande giocatore, sia in difesa che in attacco è molto bravo. Adesso chiaramente è importante avere un altro giocatore di palla alta che gestisce i palloni sporchi. Alla fine questa categoria si vince con i giocatori di palla alta, con quelli sei già molto avanti. Per loro sarà un campionato difficile, devono partire da questa ottica qua, che ci sarà da soffrire. Quando non hai giocatori di grande spessore per una determinata categoria è difficile. Bernabè darà equilibrio alla squadra, l'anno scorso ha lavorato bene e può dare tanto, può fare meglio dell’anno scorso. Poi, chiaramente, se magari arriva anche uno come Zancarli sarà fatta una bella squadra».
In generale che B2 ti aspetti la prossima stagione? Pensi che il livello resterà stabile rispetto a questi ultimi anni oppure con cinque neopromosse dalla serie C scenderà un po’?
«Molto difficile dare valutazioni, perchè la B2 non è la serie A con i suoi parametri standardizzati, dove i giocatori hanno i loro parametri. Qui la situazione è più variabile. Quello che mi fa pensare nel nostro girone è che sono state fatte degli squadroni di serie B1, così i giocatori che c'erano una volta in B1 scendono di categoria. Tutto va quindi a scalare, non vorrei che in giro fosse stato fatto un mercato che alzasse anche il livello della B2. Non penso sarà un livello stratosferico, l'anno scorso è stato già diverso dall'anno prima quando c'erano tre squadre già da B1 come Blue City, Treviso e Vicenza. Credo sarà un livello simile all'anno scorso, almeno sulla carta. A meno che le cinque neopromosse non abbiano grandi risorse penso che il livello sarà simile dell’anno scorso. Non ci sono più squadre come Monselice, Tridentum ed altre società storiche che adesso sono in B1».
Diverso forse sarà il livello della B1, che viste le squadre al via e i nomi somiglierà più ad una A2-bis?
«Esatto. Chi scende potrebbe “falsare” il campionato di B2. Alcune squadre B2 di Treviso e Padova, tanto per fare un esempio, ci mettono poco a prendere giocatori dalle B1 della zona. E’ sempre un casino per noi valutare il livello altrui, non possiamo partire in B1 pensando a vincere quando altre squadre prendono magari alcuni giocatori in A1. In B2 è più facile, tante volte dare giudizi per la B1 è più difficile. Certo questa B1 che verrà sarà un torneo di altissimo livello, più difficile di quello dell'anno passato. Dove potrebbe succedere di tutto».
Dal campionato Under 18 e dalla serie D cosa ti aspetti? Soprattutto far crescere questi ragazzi?
«Adesso devo vedere e conoscere tutti questi ragazzi. Già l'anno scorso questo gruppo è arrivato terzo in classifica, per cui la qualità c’è e l'obiettivo principale della società sarà vincere la categoria per fare le finali nazionali. Questa almeno è l'intenzione della società, adesso con un po’ di calma vedremo su cosa lavorare singolarmente per ogni giocatore. L'obiettivo principale comunque è far sì che questi giocatori possano diventare di buon livello fra non molti anni. Farli migliorare come giocatori perchè siano pronti per un bel salto nelle categorie che contano».
L’Argentario poi punterà molto sui giovani, sia in prima squadra che poi nelle tue serie D e giovanili?
«Esattamente. Per questo per me è molto interessante fare un lavoro di questo tipo. Alla fine siamo professori, educatori, il sapere come affrontare diversi problemi a diverse età ti da tanto. Queste cose ti aiutano a risolvere le situazioni che puoi incontrare nel tuo percorso di crescita personale».
Certo che quello di allenatore è un mestiere difficile, a volte non basta nemmeno vincere uno scudetto per essere confermati (Marco Angelini docet). Tu come mai hai scelto di fare l’allenatore?
«Da piccolo ho iniziato a giocare a 8 anni. Da noi le cose sono leggermente diverse, le scuole sportive si fanno sempre in collegio e io sono entrato a 11 anni in collegio e fino ai 20 anni ho giocato nella rappresentativa del mio paese. Alla fine dell'Under 20 nazionale e per 5 anni ho giocato in A1 a Cuba. Ovvio, non è la A1 italiana, ma una buona A2 la vale sicuramente. Ho vissuto di volley per tanti anni, pensa te che dicevo che non avrei mai fatto l'allenatore e invece adesso... Un giorno poi sono arrivato in Italia e non volevo nemmeno riprendere, ma alla fine la mia passione infinita per questo sport mi ha riportato in palestra. Ho conosciuto Maurizio Era, sette anni fa ormai abbiamo iniziato con la Prima divisione. Facevo un po’ tutto anche se Maurizio ci dava una mano grossa negli allenamenti. E lì abbiamo vinto la Prima divisione, poi abbiamo vinto la serie D, ci siamo salvati al primo anno di C e l'anno successivo abbiamo vinto la C e siamo arrivati secondi in Coppa Trentino Alto Adige. Così abbiamo fatto la B2 negli ultimi tre anni. Quando sono rientrato nella pallavolo ed ho iniziato a frequentare l’ambiente mi è piaciuto subito e vivo la mia professione (dedico quasi tutta la mia giornata al volley...) a tutta. Do il 120 per cento quando inizio a fare una cosa e questo ti fa innamorare delle cose che fai. Mi piace motivare le persone, seguo corsi per la gestione delle risorse perchè mi interessa molto. Non c’è stato un momento particolare, una folgorazione, nella quale ho deciso di fare l'allenatore, è stato fatto tutto in modo graduale. Mi sono ritrovato in questo mondo e ci sto benissimo. Vivo ogni partita come un giocatore, ho le stesse sensazioni ed emozioni dei giocatori, così a volte riesco a rispondere alle loro esigenze. Esserci passato per quelle situazioni ti aiuta ad affrontarle meglio».
C'è tanta differenza fra la pallavolo cubana e quella italiana?
«Ultimamente è cambiato molto, ma molto, secondo me il metodo di allenamento. Da noi a Cuba si lavora molto sulla tecnica individuale, un po' come nella scuola russa, si basa molto sul fondamentale. Così da noi arrivano giocatori di alto livello tecnico ma di basso profilo tattico. Da noi poi è molto importante il fisico. E allora tu mi chiederai: perchè tu Hernandez, bianco con un fisico normale che salti poco, giocavi a volley a Cuba? Scherzi a parte, quello che cambia molto è l'aspetto tattico. Durante un time out quando viene fatto da Cuba si dicono sempre cose che motivano più che direzioni tecniche e tattiche, questa secondo me è la grande differenza fra le due pallavolo. I cubani nelle grandi manifestazioni sono sempre secondi, terzi, quarti, perchè manca ad esempio la scoutizzazione al computer o le sedute video. Per noi queste cose sono fantascienza. Si lavoro tanto, a livello giocatori puoi pescarne molti, ma c’è differenza essenziale della tattica».

CHI E' ROGELIO HERNANDEZ

Nato a Cuba il 30 settembre del 1968, Hernandez comincia a giocare a pallavolo a 8 anni. Dal 1986 al 1988 colleziona un primo, un secondo e un terzo posto in tre anni nel campionato nazionale Under 20 di Cuba. Nel 1988, a 20 anni, vince la A2 cubana e passa in A1, intanto esordisce con la nazionale Under 20 cubana. Gioca in A1 tre stagioni, fino al 1992, mentre consegue la Laurea in design e comunicazione, prima di trasferirsi in Italia. Nel 2000 l'esordio a Trento da allenatore sulla panchina del Villazzano, in Prima divisione, con cui vince subito il campionato. L'anno successivo vince anche la D con il Villazzano, quindi nella stagione 2001/2002 guida alla salvezza il Villazzano in C. L'anno dopo è vittoria del campionato e promozione in B2, con tanto di secondo posto in Coppa Trentino. La prima stagione in B2, 2003/2004, si conclude però con la retrocessione del Proposta Vini Villazzano in serie C. Nasce quell'estate la Tridentum Volley, che acquista i diritti della B2 nuovamente e nella stagione 2004/2005 prima e 2005/2006 poi conquista due volte di fila l'accesso ai playoff promozione in B1. Ora il passaggio alla guida dell'Argentario Under 18.

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