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Il personaggio

Dore Della Lunga, Itas Diatec Trentino (A1 masch.)

Come nasce un “Personaggio della settimana”? Prima da attenta riflessione e lunghe considerazioni, quindi con mezzorate al telefono con l’amico webmaster. Da questo brain storming si cerca chi, all’interno della pallavolo di casa nostra, potrebbe essere interessante chiacchierare. E questa settimana da queste mezzorate al telefono è nata un’idea: perchè non parlare di pallavolo giocata con chi - per una bella dose di sfiga - di pallavolo giocata ne ha potuta fare ben poca? Gli infortuni fanno “parte del gioco”, nello sport capitano (purtroppo) spesso a ogni età ed a ogni livello. E allora questa settimana rompo le scatole al buon Dore Della Lunga, 23enne schiacciatore marchigiano dell’Itas Diatec, ormai da settembre bloccato in tribuna da uno scafoide pestifero. Una stagione passata in tribuna, con lui allora vogliamo cercare di capire meglio come si superano questi momenti difficili, quanto difficile sia vedere gli altri giocare e dover star fermo a bordo campo. Situazione non facile di certo, sopratutto in giovane età. Buona lettura!

Dore, prima di tutto come stai?
“In generale direi bene. Dal punto di vista della testa sto bene, sto aspettando di vedere come si evolverà la situazione ma sembra che le cose si stiano finalmente mettendo bene. Domani o dopodomani dovrei togliere i punti al polso, fra qualche giorno potrei ricominciare a fare un po’ di attività fisica ma ovviamente non con la mano ma col resto. Fra 10 giorni ho una visita di controllo, se andrà tutto bene forse potrò cominciare a muovere il polso e fra 20 giorni avrò una visita definitiva. Se Landi, il medico che mi ha operato, vede che va tutto bene potrei forse cominciare a fare qualcosa”.
Il momento più difficile, forse, è alle spalle insomma?
“Il momento più difficile è stato a settembre. Quando si passa dalla convinzione di avere tutta una stagione davanti al non averla più. Ovviamente ci si abbatte, ti da fastidio e se poi ci sono anche delle complicazioni come questa ancora di più. A settembre non vedevo l’ora di ricominciare ma sentivo ancora un dolore incredibile, perchè giocai con un osso rotto. In quei momenti giochi sperando che poi pian piano il dolore diminuisca e invece aumentava. Provarci ma non riuscirci è davvero difficilissimo, un’altra batostina dopo l’infortunio in sè. Per me il sapere di dovermi operare è stata quasi una liberazione, perchè se l’osso non era rotto e io sentivo il male che sentivo temevo di dover smettere di giocare. Perchè era davvero un dolore insopportabile. Io nn avevo dubbi sul fatto che mi dovevo operare, ma il vedere con la risonanza che era così è stato un sollievo”.
Com’è andata l’operazione a Modena?
“Se uno la racconta sembra un’operazione a cuore aperto, invece a Modena la fanno continuamente. Per loro è così, è un intervento che fanno senza problemi, non c’è il rischio che ho vissuto io di sistemarlo senza l’operazione. Anche sui tempi di recupero non sono soggettivi, con le radiografie, con le visite di controllo ogni 10 giorni, li ho visti decisi e convinti di quello che facevano”.
Ascolta, hai già trovato chi è che quest’anno ti ha portato sfiga?
“La sfiga e la fortuna uno se li porta da solo. Io devo capire come ho fatto a portarmi addosso questa sfortuna quest’anno. Io non ho mai avuto un infortunio da quando gioco, non sono mai fermo per qualcosa che non sia stata la febbre, forse per una sorta di “giustizia divina” quando mi faccio male me lo faccio bene. Io i classici doloretti non li ho mai avuti, solo questo infortunio qua, dopotutto è comprensibile che qualcosa doveva succedere. Così almeno la voglio vedere io”.
Eppure ormai per te questa è una stagione praticamente persa...
“Io la considero persa ormai, tutto quello che viene in più - se magari riesco a mettermi a posto per i play-off - lo vivrò come qualcosa tutto di guadagnato. Ora non corro più, l’ho già fatto questo inverno, prima penso che la mano torni a posto e poi ad abbinarla alla pallavolo. Io di mio non punto a tornare per i play-off, ma spero di fare un’estate con la mano a posto e di poter giocare. Io non mi pongo date, anche la società si rende conto che prima di tutto deve venire l’integrità della mano. Io non vedo l’ora di avere la mano a posto, i tempi che mi hanno prospettato a Modena sono incoraggianti, ma non mettiamoci fretta”.
Peccato, perchè ricordo bene che questa estate uno dei dubbi più grossi che si avevano per la stagione era proprio questa corsa al posto in campo fra voi tre schiacciatori, questo per te era l’anno dove potevi giocare più dello scorso?
“Sì, diciamo che le aspettative erano buone. C’era l’interesse di farmi giocare un po’ quest’anno, le basi per tentare di fare una bella stagione c’erano tutte. Ma ora è inutile parlare di queste cose, alla fine ci sarebbe tanto e niente da recriminare”.
Quanto ti fa male dover guardare tutte le partite dalla tribuna?
“All’inizio moltissimo, ora dopo sei mesi così è diventata una situazione normale. Non vedo l’ora di stare lì dentro, in campo, di fare riscaldamento, di giocare e tutto il resto. Ora dopo 6 mesi è una normalità stare in tribuna ad aspettare, all’inizio è stato difficile, quando passi dall’avere belle aspettative al dover stare fermo è difficile da digerire. Ora però non penso più a quello che ho perso ma ai traguardi a breve termine, alle visite ed a togliere i punti, vivere un passo alla volta sono cose che aiutano parecchio in questa situazione. In teoria nel giro di 20 giorni molte cose sarebbero sistemate almeno per quello che dicono i medici, sono carico da questo punto di vista. Ho parlato anche con lo staff della Nazionale e se recupero mi aspettano quest’estate, se vogliamo trovare note positive in questa cosa qualcuna ce n’è”.
Ti senti più deluso, amareggiato, arrabbiato o incazzato?
“Beh, incazzato se fosse colpa di qualcuno mentre questa situazione non è colpa di nessuno. Io sono convinto della buona fede di tutti, se qualcuno mi ha detto a dicembre che potevo giocare aveva le basi clinico-mediche per farlo. Colpe non ce ne sono, sicuramente qualcosa è andato storto e questo è palese, qualcuno mi ha detto cose che poi non si sono rivelate tali ma non è colpa sua, aveva le basi per dire quelle cose. Io ho perso tempo prima dell’operazione ma questo non va a discapito della mano, l’unica rogna è ho perso 2/3 mesi. Amareggiato lo ero all’inizio per come è andata, ora penso ad altro e spero che il peggio sia passato. Sto risalendo la china e spero abbastanza velocemente, se le cose andranno bene o meno lo saprò fra 10 o 20 giorni. E’ anche vero che il campionato è lì lì che sta per finire, se proprio ci si riesce e tutto andrà al meglio potrei essere in panchina nella prima partita dei playoff”.
Visto che il tutto nasce da una banale caduta sulle scale di casa ora hai fatto mettere l’ascensore a casa tua?
“Ancora no, vado su a piedi almeno faccio qualcosa visto che è un po’ che non faccio nulla. In molti non ci credevano, ormai la cavolata l’ho fatta, punto e basta. Forse queste cose qui nascono proprio delle piccolezze, un osso così non te lo rompi in allenamento ma con delle sciocchezze”.
Qual’è la cosa che ti manca di più del campo?
“Tutto. Nella nostra vita si apetta la domenica per stare in mezzo a 4000 persone, per sentire la musica durante il riscaldamento e finisci per invidiare i compagni che stanno in campo. Ma poi purtroppo bisogna rendersi conto che ci sono dei tempi da rispettare. Io credo che se uno si merita di arrivare ad un certo punto, di conquistare qualcosa, prima o poi questo qualcosa arriva. Credo poi che una cosa così ti possa rafforzare e capisci quanto importanti siano certe cose. Come è successo a Hübner, come è successo anche a Bari l’anno scorso. Quando torni poi se più carico di prima, vedi e vivi le cose in un altro modo. Quando ti rendi conto di quello che rischiavi di perdere e poi lo riconquisti dopo una faticaccia allora guardi le cose da un’altra visuale. Mi piace pensarla così”.
Purtroppo nello sport infortuni lunghi e rognosi come il tuo capitano, cosa ti senti di dire a ragazzi e ragazze nella tua stessa situazione?
“Per prima cosa bisogna sempre ricordarsi che le disgrazie vere sono altre, non bisogna certo andare in depressione per un infortunio. Un po’ di sconforto è normale, sentirsi giù è normale. Io non ho nulla da insegnare a nessuno, dico solo che bisogna restare calmi e andare avanti un passo alla volta, rispettando i tempi di recupero e cercare di tornare a livelli di prima per renderti conto di quanto si è fortunati a fare certe cose. E il poter tornare a fare quello che facevi prima te le fa vivere più intensamente queste cose. Se alcune cose le hai sempre non te ne rendi conto della loro importanza, rischi di darle per scontate, se invece te le tolgono allora capisci quanto significavano per te. Poi quando si torna bisogna cercare di vivere queste cose meglio di prima”.
Adesso riposo e riabilitazione ma più avanti che farai? Dopo un anno così immagino avrai voglia di giocare e potrai farlo a Trento la prossima stagione, secondo te?
“Penso che dopo un anno così la cosa più normale sia avere voglia di giocare. Dipenderà dalle scelte della società, se faranno una squadra che voglia lottare per i primi posti e per lo scudetto, sinceramente e molto onestamente, sono convinto anch’io che non possono mettere un 23enne reduce da un anno così in campo da titolare. Se invece la società farà altre scelte io sarei solo contento di continuare a giocare in una piazza fantastica come Trento. Se una società si pone un determinato obiettivo è giusto fare la squadra in base a quegli obiettivi. Se a un giovane dai un anno in A1 e per una serie di motivi questo lo perde, io capirei le scelte della società. Ma a queste cose ancora non ci penso, penso probabilmente a tornare almeno in panchina nei playoff ed all’estate in Nazionale. Se l’anno prossimo giocherò qui o in un’altra piazza non lo so”.
Mentre questa è una stagione finora agrodolce: amara esclusione dalla Coppa Italia mentre ora si sta davvero volando.
“La Coppa Italia ha pesato un po’ vedendo anche come stiamo giocando ora, adesso capiamo che potevamo tranquillamente esserci. Ma sai ce ne sono 10 o 11 squadre che vogliono entrare in Coppa Italia e nei playoff, quest’anno è toccato a noi ed altre volte ad altre squadre. Però ormai è una cosa superata, adesso stiamo giocando molto bene e speriamo di andare avanti così ancora fino a fine stagione”.
Finiranno secondo te questi risultati a sorpresa oppure si andrà avanti navigando a vista fino a fine anno?
“In un campionato così vinci o perdi una partita e puoi essere quarto come nono, non dobbiamo esaltarci dopo una vittoria così come non dobbiamo abbatterci se perdiamo. Personalmente non ho mai visto una cosa del genere, che io ricordi non era mai successo che l’ultima in classifica vincesse due volte con la prima”.
Ora arrivano due partite con Piacenza e Cuneo: in palio punti playoff che valgono doppio?
“Saranno due partite molto difficili, però in un campionato così equilibrato non ci sono più risultati chiusi come qualche anno fa. I favori del pronostico li hanno loro ma ce la si può giocare. Anche la stessa Cuneo ha dei momenti dove non riesce a giocare al meglio, vedi cos’è successo in Coppa Italia, dobbiamo prendere il massimo da queste gare e poi dovremo fare i conti con un po’ di pressione da punti nelle gare contro Padova, Latina o Vibo Valentia”.
Com’è stato l’impatto con la realtà trentina?
“Per me l’anno scorso era la prima volta che stavo lontano da casa, è stata un’esperienza nuova. Dal punto di vista societario ho trovato una realtà perfetta e organizzatissima, io venivo da una A2 molto diversa e all’inizio non ci credevo che poteva essere tutto così studiato e organizzato al meglio. La città poi è tranquilla e vivibilissima, giusta per uno sportivo, c’è molta attenzione e non sei in quelle metropoli dove non ti puoi muovere. Sono stato nel weekend a Volley Land, a Milano, ma lì anche alle 9 di mattina non ti muovi. Questa invece è una piazza giusta per fare sport”.
E’ tanto diverso il modo di vivere in Trentino dal vivere nelle Marche?
“Un pochino sì ma non come modo di vivere, bensì forse qui ci sono persone leggermente più sul “tedesco”, più chiuse e professionali. C’è una “rigidità” di testa che ha i suoi lati positivi e negativi. Per i nostri tempi liberi, che non sono così larghi, qui ci sono orari precisissimi e non sgarrano di un minuto. Per il resto il modo di vivere è uguale. Poi ogni zona, ovviamente, ha la sua originalità e sue peculiarità. Ma io qui ci sto molto bene qui”.
Tu sei uno dei pochi giovani che giocano in A1, in questi mesi s’è fatto un gran parlare di giovani che devono giocare ma, secondo te qual’è il modo giusto per permettere loro di giocare?
“Me l’hanno già fatta parecchie volte questa domanda. Molto onestamente rispondo che finchè ci saranno quattro stranieri in A1 allora c’è ben poco da discutere. Finchè sono quattro è normale che i giovani dai 20 ai 23 anni che giocano in A1 siano quattro o cinque e non di più. Io, Piscopo, Perazzolo, De Togni e Mattera, altri non credo ci siano. Più che dirti questo non so che dirti. E’ facile dire ad una società di mettere i giovani in campo ma dietro ad una stagione ci sono tanti interessi, beneficenza è giusto che non la faccia nessuno a questi livelli. Non ci sono tante storie da raccontarci, o questa cosa degli stranieri o non parliamo dei giovani in serie A1. Almeno in A2 credo si dovrebbe abbassare il numero degli stranieri, in A1 è giusto che ci sia anche la componente dello spettacolo, che sia il campionato più bello del mondo ed è giusto che sia così. Ma in A2 forse sarebbe il caso di cambiare le cose”.

CHI E’ DORE DELLA LUNGA

Nato a Chiaravalle (Ancona) il 25 luglio del 1984, Della Lunga ha iniziato a giocare a pallavolo in tenera età nelle giovanili della Sira Falconara. Nella stagione 2000/2001 viene aggregato alla prima squadra, in A2, con la quale resterà fra A1 e A2 sino alla stagione 2004/2005. Da due stagioni veste la maglia dell’Itas Diatec Trentino. Nel 2005, con la nazionale universitaria, ha vinto il bronzo alle Universiadi e quest’anno ha vinto il premio della Lega pallavolo serie A come miglior giovane italiano Under 23 della passata stagione.

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