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A1 Femminile

Trentino Rosa, è il tempo dei cambiamenti

Salvezza o non salvezza, che al termine di questa stagione la Trentino Rosa avrebbe dovuto cambiare pelle era nella logica delle cose. La storia del club, cominciata nell’estate del 2008, acquisendo il diritto sportivo del Torrefranca all’indomani della promozione in serie B1, dopo quattordici anni di attività ad alto livello, con una pausa fra il 2011 e il 2012, sarebbe comunque arrivata ad un punto di svolta. La fresca retrocessione non ha influito più di tanto sull’urgenza di riorganizzare l’impianto societario e di ripensare la mission di questa realtà sportiva all’interno del tessuto sociale e sportivo trentino. Anzi, l’eventuale permanenza in serie A1 avrebbe reso ancora più stringente questa necessità. Man mano che la squadra saliva nel ranking nazionale, sono infatti pian piano venuti al pettine una serie di nodi che la costante crescita di risultati, di attenzione e di responsabilità ha accumulato. Caratteristiche strutturali che fino ad un certo punto erano state funzionali al progetto, ma che con la conclusione della seconda avventura nella massima serie, affrontata in un palasport quasi deserto, impogono una analisi seria e un cambio di rotta.

Un club progettato per conquistare la serie A

La Trentino Rosa, in un panorama locale nel quale le società iscritte ai diversi tornei di serie B dalla fine degli anni Ottanta in poi non sono mai mancate e anzi si sono via via moltiplicate come funghi, popolando B2 e B1 con un numero quasi sempre eccessivo di formazioni (anche quest’anno sono ben sei) era nata per fare qualcosa di diverso, ovvero per concentrare risorse economiche e tecniche, grazie alla grande passione del presidente Roberto Postal e del suo inseparabile braccio destro Franco Tonetti, sul progetto di portare in serie A anche una squadra femminile locale. Di elevarla cioè nettamente da tutte le altre. Un proposito nobile e rivoluzionario per i tempi in cui era stato lanciato. La Trentino Volley, d'altronde, aveva dimostrato dall’inizio degli anni Duemila che la nostra provincia aveva la possibilità di entrare a far parte del gotha della pallavolo maschile, perché non provarci anche con le ragazze?

Per raggiungere l’obiettivo si è scelta la strada più razionale: struttura societaria snella, rinuncia tout court ad un settore giovanile (che impiega ingenti risorse umane ed economiche a discapito della prima squadra, se strutturato in maniera seria), costruzione degli organici concentrando le risorse sul settetto base, in modo da ottenere il massimo risultato sul campo.
Le risposte hanno cominciato ad arrivare subito. Una prima promozione in serie A2, ottenuta nel 2011, viene vanificata dalla mancanza di risorse e dalla brutale interruzione, le cui cause sono ancora oggi poco chiare, della neonata collaborazione con Trentino Volley, quando erano già state contattate alcune atlete per il nuovo team e quando il nuovo allenatore si era persino recato in Grecia per chiudere la trattativa con la giocatrice straniera che avrebbe dovuto vestire la maglia della Trentino Rosa in A2. Franato quel progetto e venduto il diritto sportivo, dopo un anno di inattività Postal e Tonetti tornano alla carica, rilevando un diritto di B1 per riportare in sella la propria creatura, che nella stagione 2013-14 si conquista, questa volta per davvero, la serie A2.
Per la pallavolo femminile trentina significa aver già raggiunto qualcosa di inedito, ma l’ascesa non è finita, visto che solo due anni dopo la Trentino Rosa sfiora la promozione in A1, sconfitta nella finale dei playoff, per ironia della sorte, da quella stessa Monza che ne ha decretato la retrocessione in A2 sabato scorso. Tempo quattro anni e la promozione arriva davvero, nella stagione troncata dal Covid-19. Non sul campo, dove peraltro al momento dello stop la squadra stava dominando in lungo e in largo, ma attraverso un ripescaggio. Il resto è storia recente: nella prima stagione in A1 la stessa squadra che aveva “vinto” la A2 (con l’eccezione della palleggiatrice), priva di giocatrici straniere, conquista una salvezza che ha dell’incredibile. Nella seconda, in cui la situazione torna alla normalità anche per quanto riguarda la competitività dei roster avversari, matura una retrocessione in A2, quasi (perché nello sport non c’è nulla di certo) inevitabile.

La fine annunciata di una mission

Alla regia di questa marcia con passo deciso e costante verso il vertice della pallavolo femminile italiana c’è sempre stato lo stesso nucleo di dirigenti, con qualche inevitabile integrazione operata nel corso degli anni, e soprattutto la stessa logica operativa: massimizzare l’uso delle risorse, assai scarse per la massima serie, in base al conseguimento del risultato. La sua applicazione nella scelta delle atlete straniere, necessarie per dare un po’ più di sostanza all’organico, ha portato a giocare tre scommesse la scorsa estate: una vinta, Jessica Rivero, braccio effettivamente pesante da affiancare ad una laterale in grado di dare equilibrio al gioco per massimizzarne le qualità e minimizzarne i difetti; una rivedibile, August Raskie, che ha impiegato troppo tempo per prendere in mano la squadra; una persa, Yamila Nizetich, quasi mai all’altezza del ruolo fin troppo gravoso assegnatole, quello di punto fermo intorno al quale far girare il gioco della squadra. Non è un caso che Matteo Bertini abbia affrontato gli scontri finali decisivi con Chiara Mason in campo e con l’argentina, penalizzata anche da problemi fisici, in panchina.

L’affanno con il quale la società ha affrontato questa stagione lo si può leggere anche dall’impossibilità di correggere l’organico in corsa, come hanno fatto quasi tutte le dirette concorrenti; con la fuga di Rebecca Piva, mai rimpiazzata; con la totale mancanza di pubblico negli sterminati spazi della Blm Group Arena, che ha trasmesso l’idea dell’isolamento di questa realtà sportiva dal cuore degli appassionati trentini, alimentato in maniera diabolica da due anni di pandemia. La sensazione è dunque quella che un cammino immaginato dieci anni fa sia stato completato e che da adesso in poi la mission di questa società dovrà cambiare. Il sogno di portare una squadra femminile trentina in serie A è stato coronato e l’entusiasmo della comunità per questo risultato si è ormai esaurito.
Poter ricominciare da una serie molto meno impegnativa sul piano organizzativo ed economico come la A2 diventa, in questo contesto, quasi una benedizione, perché libera il club da vincoli micidiali, come quello del palazzetto da almeno 1.500 spettatori, o come la disperata rincorsa a giocatrici in grado di reggere l’urto delle corazzate passate senza fare prigionieri alla Blm Group Arena per l’intera stagione, ultima in ordine di tempo Monza.

Nuove strade da percorrere

Cosa accadrà non è ancora molto chiaro, perché voci e trattative si sovrappongono e di punti fermi non ce ne sono. L’invito ad unire le forze con Trentino Volley, di cui si parla con insistenza da almeno un mese, è arrivata dagli “sponsor” istituzionali, ed è per questo che deve essere considerata con grande attenzione dal club maschile, che di propria iniziativa probabilmente mai si sarebbe mosso in questa direzione. Per la società guidata da Bruno Da Re l’irruzione della Trentino Rosa al PalaTrento, dove la gestione degli spazi e dei tempi era già legata a delicati equilibri creati con Aquila Basket, è stata una scocciatura che avrebbe volentieri evitato, figuriamoci quali entusiasmi susciti l’idea di prendersi in carico una seconda realtà sportiva di serie A. L’idea di dover ripartire le già scarse risorse disponibili su due fronti così impegnativi crea nuovi oneri per una società che sta già attraversando la complessa transizione iniziata con l’uscita di scena di Diego Mosna e che già deve far fronte alle enormi difficoltà che comporta reggere il passo di avversarie più ricche come Perugia, Civitanova e Modena in SuperLega.

Il discorso potrebbe cambiare, tuttavia, se a supporto di questo progetto intervenisse in maniera decisa il governo provinciale e con esso alcuni “brand” storici che supportano in maniera insostituibile le società sportive più importanti della provincia. A quel punto non si tratterebbe più di unire semplicemente due realtà che non hanno mai avuto nulla in comune (oltre alla disciplina), ma di costruire un progetto sportivo e sociale di respiro più ampio, convogliandovi risorse umane ed economiche. Trasferire almeno una parte del rigore, della credibilità e delle logiche operative di Trentino Volley al settore femminile è un’ottima idea, ma in che modo si pensa di farlo?
Il primo tassello dovrebbe essere quello di dare vita ad un settore giovanile di riferimento per l’intero territorio regionale, se utile costruendo sinergie con qualcuno dei club che già esistono, guidato da un tecnico di livello nazionale, che veda al vertice della piramide una squadra di serie B2 o B1 di cui abbia il pieno controllo. Il secondo sarebbe quello di progettare una squadra di A2 che non abbia la promozione nella massima serie come primo obiettivo, ma la costruzione di un gruppo di prospettiva il cui nucleo sia potenzialmente in grado di reggere la categoria superiore con tutti gli inevitabili innesti del caso. Un roster nel quale, inoltre, vi sia una rappresentanza locale sempre più consistente con il passare degli anni. Ma soprattutto si dovrebbe perseguire l’obiettivo di portare sempre più persone al palazzetto, unica vera cartina tornasole dei successi sportivi.

Lo stato dell’arte

Ad oggi nessun dirigente dei due club ha lasciato trapelare dichiarazioni ufficiali, ad eccezione di Bonifacio Giudiceandrea, membro del cda di Trentino Rosa, che ieri sera è stato ospite dell’ultima puntata stagionale di «Rttr Volley» del martedì, la trasmissione che l’emittente regionale, in collaborazione con il nostro portale, dedica alla pallavolo femminile trentina. Il dirigente della Delta Despar ha confermato che la trattativa è avviata da tempo e che è stata fissata la data del weekend di Pasqua quale termine per arrivare ad una prima decisione sulla sostanza dell’accordo. Dunque il tavolo è operativo e i tempi che si è dato sono pure stretti.

L’ipotesi su cui si sta lavorando ora è quella creare un gruppo di dirigenti ed uno staff all’interno di Trentino Volley dedicato esclusivamente al settore femminile, la cui guida è stata proposta a Matteo Bertini, che svestirebbe quindi i panni di allenatore per vestire quelli di dirigente. Si tratta di una scelta non facile per il tecnico marchigiano, perché potrebbe essere un cambio di ruolo senza vie di ritorno ad alto livello, una strada più coraggiosa, ma nel contempo più rischiosa di quella che gli ha offerto Perugia, dove potrebbe approdare come allenatore. Ad oggi pare che una parte delle possibilità di successo di questa operazione dipenda da questo passaggio chiave.
Per quanto concerne la squadra, l’idea che si sta facendo strada è quella di affidarla ad un giovane emergente già inserito nella compagine, quale è Milo Piccinini, cresciuto molto sotto l’ala protettrice di Bertini e pronto al salto di qualità. In quanto alle giocatrici, il primo passaggio sarà quello di cercare di trattenere un pilastro come Vittoria Piani, che difficilmente troverà posto come titolare in serie A1. L’opposta è proprietaria del proprio cartellino, quindi è libera di scegliere la soluzione che più la aggrada e non è un mistero che qui abbia messo radici e si senta ormai a casa. Insieme a lei, dato che in A2 la squadra si fa con le giocatrici italiane, il club vorrebbe trattenere anche Chiara Mason, che ha già alle spalle ottime stagioni in questa categoria e che negli ultimi mesi è cresciuta ulteriormente, nonché il libero Ilenia Moro. Partendo da un nucleo di questo tipo non sarebbe difficile aggiungere i tasselli che mancano e dare vita ad una squadra di ottimo livello. La sede di gioco tornerebbe ad essere il palasport di Sanbapolis.
I nodi cruciali, a ben vedere, non sono però quelli relativi alle giocatrici da ingaggiare, ma al modo in cui il settore femminile si innesterebbe all’interno di Trentino Volley e a come verrebbero ripartite le risorse disponibili, come abbiamo già fatto notare. Chi deciderebbe quante allocarne nel settore maschile e quante nel femminile? Quanti sponsor, in un periodo di crisi economica senza precedenti dal dopoguerra, sarebbero disposti ad aumentare il budget da destinare al progetto? Chi avrà l’ultima parola sulle decisioni più importanti? La struttura che si occupa del marketing sarà in grado di lavorare contemporaneamente su due fronti? A mente lucida appare tutto molto complicato, ma può anche essere che alla fine le economie di scala attivabili su alcuni fronti e la forza persuasiva degli interlocutori istituzionali possano far pendere l’ago della bilancia verso la fumata bianca. Non resta che attendere gli sviluppi.

Autore
Andrea Cobbe
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